La Corte costituzionale, con sentenza 11 novembre 2011, n. 303, ha rigettato le censure di legittimità costituzionale dell'art. 32, cc. 5-6-7 della l. 4 novembre 2010, n. 183 (c.d. collegato lavoro). V. qui il testo.
Cosa ha detto in sintesi la Corte, risolvendo dubbi prospettati (forse anche frettolosamente) pure in dottrina?
- le norme in questione si applicano a tutti i giudizi pendenti, di qualunque grado
- esse non sono irragionevoli sul quantum di tutela rispetto al pregresso regime, infatti: a) tali norme risolvono incertezze verificatesi nella prassi interpretativa; b) assicurano comunque la "conversione" in rapporto a tempo indeterminato; c) si riferiscono al periodo tra la scadenza del termine e la sentenza, non oltre, poiché qui decorrerebbero in ogni caso le retribuzioni a seguito della conversione; d) il lavoratore non deve nemmeno provare il danno, né offrire la prestazione con specifica messa in mora, né si può detrarre l'aliunde perceptum o percipiendum, sicché addirittura c'è un trattamento più favorevole per il lavoratore; e) è ragionevole che l'indennizzo sia inferiore in caso di regolazione collettiva dell'assorbimento del personale; f) l'illegittima apposizione del termine non è equiparabile a casi come la somministrazione irregolare o l'illegittimo utilizzo del lavoro a progetto
- sul profilo della retroattività: non è violato l'art. 24 Cost, poiché a) restano ferme nella sostanza le richieste proponibili al giudice, sia di conversione, sia di risarcimento del danno, per il quale è unicamente modificata la quantificazione; b) la normativa non incide su specifiche controversie, ma ha portata generale ed astratta
- ancora sul profilo della retroattività non è violato l'art. 6 CEDU, poiché: a) la giurisprudenza citata dai remittenti verteva in realtà su vantaggi che lo Stato creava in ordine a controversie in cui erano parti lo Stato stesso o enti pubblici, attraverso normative retroattive, mentre la normativa interna in esame si riferisce solo ai rapporti tra privati; b) ci sono in ogni caso "motivi imperativi di interesse generale" per un intervento retroattivo, in particolare consistenti nelle esigenze di certezza giuridica per tutte le parti, viste anche le incertezze applicative precedenti; c) è fatto ovviamente salvo il giudicato.