giovedì 29 novembre 2018
Rinunce e transazioni: slide
Qui le slide di una lezione agli studenti in tema di rinunce e transazioni nel diritto del lavoro
lunedì 26 novembre 2018
Retribuzione del lavoratore: slide
Qui le slide di una lezione agli studenti in tema di retribuzione
lunedì 19 novembre 2018
Apertura degli esercizi commerciali di domenica? Riflessione
Qui una mia breve riflessione sull'apertura domenicale degli esercizi commerciali, pubblicata sul mensile "Servi della Sofferenza"
Il potere disciplinare del datore di lavoro: slide
Qui le slide di una lezione agli studenti sul potere disciplinare del datore di lavoro
venerdì 9 novembre 2018
Unione europea vs. Stati membri? Un seminario al Borromeo
Unione europea contro Stati membri? Ne abbiamo parlato con il prof. Jacobs, Università di Tilburg (Paesi Bassi) con gli studenti del Collegio Borromeo (qui la locandina)
Mansioni, qualifiche, categorie: slide
Qui le slide di una lezione agli studenti su mansioni, qualifiche e categorie nel diritto del lavoro
martedì 6 novembre 2018
Seminario del prof. Cabrelli, Università di Edimburgo
Qui la locandina del seminario che David Cabrelli, professore di diritto del lavoro nell'Università di Edimburgo, ha tenuto agli studenti dell'Almo Collegio Borromeo di Pavia, sul tema "Civil Republican Political Philosophy and Labour Law"
sabato 3 novembre 2018
Reddito di cittadinanza: dibattito all'Università di Pavia
Qui la locandina di un evento sul reddito di cittadinanza. Un dibattito all'Università di Pavia, Aula Scarpa, venerdì 9 novembre ore 15.30. Trattano il tema giuristi, economisti, sindacalisti.
E' anche l'occasione per presentare il volume da me curato e pubblicato da Giappichelli:
https://www.giappichelli.it/reddito-di-inclusione-e-reddito-di-cittadinanza-21721
E' anche l'occasione per presentare il volume da me curato e pubblicato da Giappichelli:
https://www.giappichelli.it/reddito-di-inclusione-e-reddito-di-cittadinanza-21721
mercoledì 31 ottobre 2018
Diritto europeo e comparato del lavoro: altre slide
giovedì 25 ottobre 2018
Contratto collettivo nel pubblico impiego: slide
Qui slide in tema di contratto collettivo nel pubblico impiego
mercoledì 24 ottobre 2018
Iustitia n. 3/2018: saggio sulla responsabilità sociale dell'impresa
Su Iustitia, n. 3/2018, pagg. 307 ss., torno sul tema della responsabilità sociale dell'impresa con un saggio dal titolo "Legge o responsabilità sociale dell'impresa? Adempiere agli obblighi di diritto del lavoro, oggi"
giovedì 18 ottobre 2018
Corte cost. n. 231/2013 sull'art. 19 St. lav.: slide
Qui slide sulla sentenza n. 231/2013 della Corte costituzionale sull'art. 19 St. lav.
La flessibilità in uscita dopo le recenti riforme e la pronuncia della Corte cost. sul Jobs Act. Slide
Qui le slide della mia relazione nell'ambito del convegno "Stabilità del lavoro e disciplina dei licenziamenti, oggi", organizzato dall'UGC Montepulciano
Prosegue il corso di diritto europeo e comparato del lavoro: slide
martedì 16 ottobre 2018
Diritto europeo dei contratti di lavoro: basi giuridiche e libera circolazione
domenica 14 ottobre 2018
Rinunce e transazioni: slide
Qui le slide di una lezione alla Cisl Lombardia in tema di rinunce e transazioni nel diritto del lavoro
lunedì 8 ottobre 2018
Lavoro autonomo non imprenditoriale: VTDL n. 3/2018
Ho curato il numero 3/2018 della rivista Variazioni su temi di diritto del lavoro, dedicato al lavoro autonomo non imprenditoriale, con un mio saggio introduttivo. I contributi spaziano dal rapporto, all'autonomia collettiva, al mercato del lavoro, alla previdenza. Qui l'indice
mercoledì 3 ottobre 2018
M. Ferraresi (a cura di), Reddito di inclusione e reddito di cittadinanza, Giappichelli
Ho curato il volume "Reddito di inclusione e reddito di cittadinanza - Il contrasto alla povertà tra diritto e politica", appena pubblicato da Giappichelli.
Marco Ferraresi tratta del problema costituzionale di tali misure di sostegno al reddito.
Francesco Gadaleta commenta il d.lgs. n. 147/2017 sul reddito di inclusione.
Martino Matarese si occupa delle discipline regionali.
Vincenzo Ferrante effettua una comparazione in materia con Germania, Francia e Regno Unito.
Infine, Mirko Altimari dà conto del dibattito de iure condendo.
Ecco la pagina web del libro, disponibile anche in formato elettronico:
https://www.giappichelli.it/reddito-di-inclusione-e-reddito-di-cittadinanza-21721
Marco Ferraresi tratta del problema costituzionale di tali misure di sostegno al reddito.
Francesco Gadaleta commenta il d.lgs. n. 147/2017 sul reddito di inclusione.
Martino Matarese si occupa delle discipline regionali.
Vincenzo Ferrante effettua una comparazione in materia con Germania, Francia e Regno Unito.
Infine, Mirko Altimari dà conto del dibattito de iure condendo.
Ecco la pagina web del libro, disponibile anche in formato elettronico:
https://www.giappichelli.it/reddito-di-inclusione-e-reddito-di-cittadinanza-21721
lunedì 1 ottobre 2018
Convegno: Stabilità del lavoro e disciplina dei licenziamenti, oggi
Qui la locandina di un evento organizzato dall'Unione Giuristi Cattolici di Montepulciano per il 17 ottobre. Tema: stabilità del lavoro e disciplina dei licenziamenti, oggi. Naturalmente, considereremo l'esito della recente pronuncia della Corte costituzionale sul Jobs Act. Relatori: il prof. Matteo Corti dell'Università Cattolica di Milano e il sottoscritto
Shopping e lavoro di domenica? Rivedere il decreto "salva Italia" del 2011
Shopping e lavoro di domenica? Ecco quello che penso in una intervista che ho rilasciato di recente. Clicca qui
venerdì 28 settembre 2018
Lavoro dei disabili: slide
Qui le slide in tema di lavoro dei disabili, relative a una conferenza presso i consulenti del lavoro di Asti
martedì 25 settembre 2018
Giuristi cattolici: reddito di cittadinanza? Pericoloso
La Commissione di studio di diritto sindacale e del lavoro dell'Unione Giuristi Cattolici Italiani, che coordino, prende posizione critica sulle proposte di implementazione del reddito di cittadinanza, che rischia di depotenziare il principio lavoristico della nostra Costituzione. Qui il testo dell'intervento
lunedì 24 settembre 2018
Il sostegno all'occupazione dei soggetti disabili
Terrò una relazione sulle misure di sostegno all'occupazione dei soggetti disabili nell'ambito del Master breve organizzato dalla Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro in Asti, sul tema delle fasce deboli del mercato del lavoro: qui il programma
Licenziamenti: slide
Qui le slide utilizzate in tema di licenziamenti in una lezione alla Scuola Sindacale Permanente della CISL Lombardia
giovedì 13 settembre 2018
Retribuzione: slide
Qui le slide utilizzate in tema di retribuzione in una lezione alla Scuola Sindacale Permanente della CISL Lombardia
venerdì 3 agosto 2018
Treccani on line: voce sul lavoro agile
Qui la mia voce sulla Treccani, Diritto on line, in tema di "Lavoro agile"
domenica 29 luglio 2018
Da grande voglio fare... l'impiegato pubblico: commento a un sondaggio
Un mio commento su La Nuova Bussola Quotidiana in ordine alle preferenze di lavoro degli italiani
"Voglio fare il posto fisso", le non-ambizioni degli italiani
Marco Ferraresi
Un sondaggio rivela che gli italiani ambiscono soprattutto a fare l'impiegato pubblico, indipendentemente dalla professione. L'aspirazione maggiore è quella di un posto fisso con stipendio sicuro. Comprensibile per i tempi che corrono. Ma il quadro è preoccupante, perché vuol dire che lo spirito di iniziativa lascia il posto alla rendita.
Quando chiediamo a un bambino che cosa vorrebbe fare da grande, vediamo i suoi occhi brillare mentre afferma, convinto, “l’astronauta”, “il poliziotto”, “il calciatore”, “il pilota” o altro ancora. Lasciamo ora che il pargolo cresca, attendiamolo al varco dell’età adulta e, riproponendo la stessa domanda, chiediamoci cosa potrebbe perlopiù rispondere. Non c’è dubbio: l’impiegato pubblico. Si badi, non specificamente il magistrato, l’ufficiale dell’esercito, l’ispettore, ma l’impiegato pubblico. Come se un aspirante musicista dicesse semplicemente che amerebbe, non suonare il violino, il flauto o il pianoforte, ma “suonare” purché sia.
A mostrare le preferenze e le ambizioni dei nostri concittadini è un recente sondaggio di SWG dedicato a “gli italiani e il lavoro”. Esso ci rivela che il 28% di un campione di mille persone maggiorenni desidera diventare un pubblico dipendente. E il dato è in crescita del 13% rispetto al 2016. Significativamente, al secondo posto si colloca il lavoro di insegnante (al 12%). Seguono l’ambito informatico (11%), della comunicazione digitale e del social marketing (11%), il lavoro imprenditoriale (10%), la figura del dirigente d’impresa (10%), il designer (10%), il bancario (9%), il commerciante o l’artigiano con un proprio esercizio (8%), le professioni ordinistiche di avvocato, medico, commercialista o notaio (8%), il ricercatore universitario (8%), il lavoratore di una cooperativa sociale o educativa (8%).
Le risposte si comprendono meglio alla luce degli esiti di un altro quesito, posto agli stessi intervistati e relativo alla tipologia contrattuale che, potendo, presceglierebbero: il 49% ritiene “fondamentale” un contratto di lavoro (dipendente) a tempo indeterminato; il 39% considera tale soluzione importante, ma non prioritaria; il 5% la reputa invece poco importante e solo il 7% si dice non interessato al contratto a tempo indeterminato.
Provando a interpretare questi dati, si possono formulare due ordini di considerazioni. Anzitutto, si direbbe, emerge un desiderio di stabilità occupazionale e dunque reddituale. Questo infatti sembrano dirci sia, evidentemente, la metà degli intervistati in ordine alla preferenza per il contratto a tempo indeterminato; sia l’opzione per l’impiego pubblico, che è l’emblema in Italia di un rapporto di lavoro solido, ai limiti, nei fatti, della inamovibilità. Ciò ben si potrebbe spiegare in ragione della precarietà professionale socialmente percepita, confermata dall’ingente quantitativo di contratti a tempo determinato stipulati negli ultimi anni e superiore a quello dei contratti a tempo indeterminato, come risulta dalle statistiche ufficiali. Dal che si comprende, anche, come mai la preferenza dei cittadini per l’impiego pubblico sia significativamente aumentata dal 2016 ad oggi.
L’interpretazione qui suggerita apparirebbe confermata da un ulteriore dato offerto dal sondaggio: per poter costruire il proprio futuro esistenziale, secondo il 67% degli intervistati è importante, appunto, “cercare un lavoro stabile”, il 6% in più rispetto al 2016. Sono soprattutto i giovani tra i 18 e i 24 anni (l’81% tra di essi) a pensarla in questo modo. E non si può negare che di principio la continuità occupazionale, ancor più se si tratta di un rapporto di lavoro dipendente, garantisce non solo quella reddituale, ma anche quella contributiva in vista della pensione e quella professionale. La costante applicazione delle conoscenze e delle esperienze, infatti, è precondizione per mettere a frutto le capacità acquisite e conseguirne di nuove. Inoltre, l’incertezza lavorativa non concorre a creare le condizioni ideali per l’assunzione di vincoli personali stabili quali il matrimonio, la conseguente formazione di una famiglia e le scelte procreative, o anche per decisioni patrimoniali importanti come l’acquisto di una abitazione.
Nondimeno, il sondaggio si potrebbe pure prestare a una seconda interpretazione. Proprio la generica opzione per la categoria del pubblico dipendente – ma anche, volendo, per il lavoro di insegnante, se riferito alla scuola pubblica – suggerisce ulteriori considerazioni. La schiacciante preferenza (indifferenziata) per il pubblico impiego – ancor più se ad essa sommiamo quella per l’insegnamento, nel senso detto – sembra dirci che l’aspetto reddituale prevalga su quello professionale, che sia più importante guadagnare che fare, più conveniente avere che essere. A meno infatti di ritenere che si voglia diventare pubblici dipendenti per servire esclusivamente la Nazione, secondo le pur solenni parole della nostra Costituzione, vi è il rischio che simile “passione” per la pubblica amministrazione sia più che altro determinata da dignitose remunerazioni, ritmi di lavoro non assillanti e, in definitiva, rapporti di lavoro garantiti sino alla pensione, essendo il licenziamento un fenomeno, in tale ambito, piuttosto raro (nonostante i giri di vite sulla responsabilità disciplinare, di cui alle riforme legislative degli ultimi anni). La stessa figura dell’insegnante – che dovrebbe fare tremare i polsi, al solo pensiero di quanto sia delicata la funzione educativa – si presta facilmente ad essere associata, semplicemente, alla possibilità di beneficiare di orari di lavoro ridotti e lunghi periodi di ferie.
Se così fosse, il quadro sarebbe preoccupante. Vorrebbe dire che lo spirito di iniziativa e la propensione al rischio (razionale); la voglia di mettersi in gioco, di far fruttificare i talenti e il senso profondo della fatica umana; che tutto ciò, in definitiva, non appartiene più al nostro Paese. L’Italia si avvierebbe allora verso un sicuro declino, non solo economico, ma pure culturale e spirituale.
Naturalmente, si potrebbe dire che la seconda interpretazione sia maliziosa. Di certo, dovremmo tutti rallegrarci di poter constatare come essa, in realtà, sia infondata. Tuttavia, se leggiamo il sondaggio di SWG insieme ad altre rilevazioni pubbliche in tema di lavoro degli italiani, i sospetti restano. Si consideri ad es. un’indagine di Eurostat (l’ufficio statistico dell’Unione europea) di quest’anno: per essa, il 60% dei giovani disoccupati italiani (contro il 50% della media dell’Ue) non è disposto alla mobilità territoriale, cioè a cambiare città, per reperire una occupazione: solo il 7% sarebbe disponibile a trasferirsi in altro paese europeo, il 13% fuori dall’Unione e il 20% in altra località italiana. Ma la maggioranza, appunto, non muterebbe né città né Stato. L’Italia, nella classifica, è così al sesto posto in termini di propensione alla (im)mobilità, dietro a Malta, Olanda, Cipro, Romania e Danimarca. Il che significa, come, in non pochi casi, il disagio di un mutamento del domicilio sia considerato superiore rispetto alla carenza di lavoro. Non propriamente un segnale di intraprendenza.
Un altro dato che fa riflettere è quello relativo agli skill shortages, cioè alle carenze professionali rispetto alla manodopera richiesta dalle imprese: se è vero che in Italia i dati della disoccupazione, specialmente giovanile, sono allarmanti, le periodiche indagini di Unioncamere svelano la presenza di giacimenti occupazionali non sfruttati. Alcuni posti di lavoro, certo, richiedono competenze particolarmente qualificate e corrispondenti titoli di studio (come nell’ambito dell’ingegneria elettronica e dell’informazione); ma restano costantemente scoperte pure posizioni ad es. di macellaio, elettricista, idraulico, cuoco, panificatore e molte altre. Le imprese disposte ad assumere, per tali qualifiche, vi sono: mancano tuttavia i lavoratori. A tal proposito, vi è da domandarsi se tutto dipenda dall’inefficienza dei servizi per l’impiego nel mettere in contatto la domanda e l’offerta di lavoro; dalla inadeguata programmazione dell’offerta scolastica e formativa rispetto alle condizioni e alle necessità del mercato del lavoro; o, anche, se non vi siano mestieri semplicemente considerati faticosi, negletti e dotati di scarso appeal. Ribaltando un’espressione popolare: piuttosto che niente, meglio niente.
Da ultimo, non si può fare a meno di ricordare che il partito più votato nell’ultima tornata elettorale politica, il Movimento 5 Stelle ora partito di governo, ha tra i punti qualificanti del suo programma l’estensione del reddito di inclusione (impropriamente chiamato reddito di cittadinanza) introdotto dal precedente esecutivo. Si tratta di una misura pericolosa, non solo perché costituisce una costosa forma di mantenimento a carico della spesa pubblica in assenza di lavoro, ma anche perché, correlativamente, può scoraggiare la ricerca di lavoro e favorire semmai quello irregolare. Il successo del Movimento 5 Stelle sta a significare, almeno in parte, che una quota importante dell’opinione pubblica consideri positivamente la previsione di un introito monetario mensile pur in assenza della controprestazione lavorativa. Ma, ce lo ha ricordato più volte anche il regnante Pontefice, senza lavoro non c’è dignità, sicché vi è bisogno non di un reddito per tutti, ma di lavoro per tutti.
In conclusione, vi è da chiedersi cosa ne sia, nella percezione comune, del principio primo della nostra Carta fondamentale elaborato dai Padri costituenti, secondo cui l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Forse, anche oggi, molti preferirebbero che essa possa fondarsi su una posizione di rendita. Che, in definitiva, non può che essere una posizione di privilegio.
lunedì 23 luglio 2018
Sergio Marchionne e il diritto del lavoro
Un mio commento sulla figura di Sergio Marchionne, su La Nuova Bussola Quotidiana di oggi
Il nuovo modo di vivere il lavoro: l'eredità di Marchionne
di Marco Ferraresi
Nel momento in cui si scrive, le condizioni di salute di Sergio Marchionne, ricoverato alla fine di giugno in un ospedale di Zurigo per un’operazione chirurgica alla spalla e per la successiva convalescenza, sono definite gravi, se non irreversibili. Al capezzale dell’ormai ex amministratore delegato di Fiat-Chrysler sono presenti i familiari, mentre i dettagli sul suo stato fisico – il cui radicale peggioramento ha costituito per l’opinione pubblica un fulmine a ciel sereno – sono circondati da una giusta riservatezza.
La sofferenza sembra così entrata con prepotenza nella vita di un uomo che, nella dimensione pubblica, è sempre apparso come forte, infaticabile, al punto – si dice – da riservare il riposo ai viaggi transcontinentali in aereo, per raggiungere i vari stabilimenti di un impero economico che ha contribuito a creare, quale vertice di uno dei principali gruppi societari produttori di autoveicoli. Un dolore improvviso che in una prospettiva meramente umana lascia in chi lo stima personalmente, come afferma il presidente di Fca John Elkann, “un senso di ingiustizia”. Sergio Marchionne sta dunque percorrendo in questi attimi una dolorosa via della croce: merita, meriterebbe solo per questo il rispetto di tutti (anche da parte di chi lo considera un nemico sindacale), insieme alla preghiera cristiana in favore suo e a sostegno di chi gli è accanto.
Nel frattempo, si è resa necessaria la sua sostituzione nei ruoli ricoperti in Fca, Ferrari e Cnh Industrial: i successori ricevono un’eredità gestionale impegnativa anche solo per il carisma, ineguagliabile, del dirigente italo-canadese. Il gruppo sembra aver optato per figure interne, così da garantire anzitutto continuità al lavoro svolto dal predecessore. L’era Marchionne, per le società da lui dirette, volge pertanto al termine ed è normale che si apra una legittima discussione sui risultati generali della sua gestione, che in queste ore si va appuntando sui profili più squisitamente contabili e finanziari, su quelli relativi alla qualità del prodotto industriale e su quelli sindacali e del lavoro.
Quanto ai successi di carattere economico, occorre ricordare come Marchionne abbia raccolto nel 2004 una Fiat sull’orlo del definitivo collasso, per salvarla e rilanciarla. Consapevole del fatto che la competizione internazionale faceva dei confini italiani un ambito troppo ristretto per un prodotto quale l’automobile, ha realizzato un’operazione straordinaria: l’acquisizione del colosso statunitense Chrysler (pure in crisi) da parte di Fiat, guadagnandosi l’ammirazione dei presidenti Obama e Trump. Qualcuno lamenta come, in seguito a ciò, il baricentro del gruppo si sia sbilanciato all’estero. Ma, per un verso, è naturale che le diverse dimensioni dei mercati spingano a privilegiare aree che garantiscono una maggiore espansione; per un altro, resta, ancor oggi, affatto scontata la scelta di una grande multinazionale di mantenere una pur significativa produzione in un Paese, come l’Italia, che quanto a fisco, burocrazia, tempi della giustizia e clima sindacale, non offre sempre le condizioni che rendono il territorio attrattivo per l’insediamento industriale. E a Marchionne andrebbe piuttosto il ringraziamento per aver continuato, nonostante tutto, a scommettere sull’Italia e i marchi italiani.
Quanto alla qualità delle vetture, gli analisti di settore discutono sui presunti ritardi di Fca rispetto alle nuove frontiere della produzione. Marchionne avrebbe sì conquistato la fiducia (e il prestito) del governo statunitense per l’acquisto di Chrysler anche grazie al favore del presidente Obama per tecnologie a minor impatto ambientale, esportate per l’appunto dall’amministratore italiano negli Usa. Ma avrebbe per contro ritardato l’ingresso della casa automobilistica nel mercato delle auto ad alimentazione elettrica, che sembra riguardato con prudenza anche nel recente piano industriale. Parimenti, avrebbe mantenuto un atteggiamento tiepido nei confronti dei sistemi di automazione della guida, che nondimeno appaiono come l’avanguardia della tecnologia automobilistica. Può darsi che su queste strategie abbia prevalso un (apprezzabile) contegno pragmatico e anti-ideologico, in un contesto culturale in cui, da un lato, proliferano ricette sui pericoli ecologici globali, reali o presunti; dall’altro, si tende a confidare nella tecnologia sino al punto da ritenerla sostitutiva del controllo e della responsabilità umana. Su questi e altri profili del business di Fca – la scelta dei marchi da promuovere, i modelli, le linee, ecc. – ovviamente il dibattito specialistico è aperto e il futuro potrà dare ragione o meno di alcune tra le scelte di Marchionne. Resta, in ogni caso, il fatto di un’azienda florida che in quattordici anni ha avuto una espansione impensabile: il che dovrà pure significare come, nel complesso, anche il prodotto sia stato generalmente apprezzato.
Sul piano delle relazioni sindacali e del lavoro, va dato atto al dirigente di origini abruzzesi di scelte coraggiose, che gli sono valse critiche spesso ingiustificate e talora pesanti insulti (si pensi alla macabra satira che ha comportato per gli autori il licenziamento, definitivamente confermato di recente dalla Cassazione). Fortunatamente, la sua personalità caparbia ha portato a non considerare le une né gli altri. Il che da un lato ha permesso, come accennato, il mantenimento degli stabilimenti in Italia; dall’altro, ha offerto un esempio incoraggiante del fatto che pure in Italia, seppure con fatica, si possano adottare, a diritto vigente, prassi di relazioni industriali innovative contemperando le esigenze datoriali e dei lavoratori.
In primo luogo, egli ha rotto il tabù dell’unanimità sindacale. Marchionne ha dimostrato che, quando si ha un mano un piano industriale serio, si può procedere con gli interlocutori sindacali che si rendano disponibili. L’ad della Fiat, per avere sottoscritto il contratto collettivo del gruppo senza la firma della Fiom-Cgil (la principale organizzazione sindacale del settore metalmeccanico), ha dovuto affrontare un intenso contenzioso giudiziale. Da esso non è sempre riuscito vincitore. Ma il contratto (approvato dai lavoratori nei referendum aziendali) nel suo complesso ha retto, è stato rinnovato nel 2015 ed è diventato un esempio della possibilità, anche in Italia, di relazioni sindacali collaborative all’interno di un grande gruppo industriale.
In secondo luogo, egli ha dimostrato che in alcuni casi di un contratto collettivo nazionale si può (e forse si deve) fare a meno. Quando nel 2011 Confindustria si impegnò con le confederazioni sindacali dei lavoratori a non sfruttare le potenzialità dell’art. 8, d.l. n. 138/2011 (varato dal governo di centrodestra), che amplia la potestà regolativa degli accordi aziendali e territoriali rispetto alla legge e al contratto nazionale, Marchionne non ci pensò due volte. Prese carta e penna e comunicò al Presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, il suo recesso: un duro colpo, anche di immagine, per la principale associazione datoriale italiana. Il ragionamento del più noto manager italiano era molto semplice: le attuali condizioni del mercato talvolta impongono nei singoli contesti aziendali regole del lavoro più flessibili, che non è opportuno, per nessuno, conculcare a livello nazionale.
La vicenda Fiat ha per questo avuto l’indubbio pregio di rilanciare sul piano politico il dibattito – davvero non più rinviabile – sulla rappresentatività sindacale, l’efficacia soggettiva del contratto collettivo, il ruolo del contratto aziendale, per realizzare una democrazia industriale con regole certe e più efficienti.
Sarebbe poi lungo soffermarsi su altri profili di interesse del contratto collettivo di Fca: dalle clausole di tregua sindacale, per contenere il conflitto entro alcuni limiti, al sistema di controllo e sanzione dell’assenteismo ingiustificato (altro male delle relazioni di lavoro italiane); dal sistema di inquadramento professionale dei lavoratori all’organizzazione dell’orario di lavoro; dalle regole sulla sicurezza al salario di produttività, con la fissazione di indici economici di sito industriale e di gruppo, al cui raggiungimento sono erogate quote del premio di risultato, aggiuntive rispetto al salario di base.
Nel 2010 uno dei dirigenti della Fiom, Giorgio Cremaschi, parlò del contratto in questi termini: “Il 2 ottobre 1925 Mussolini, la Confindustria e i sindacati corporativi fascisti firmavano a Palazzo Vidoni un accordo che cancellava le elezioni delle commissioni interne. L’accordo di Mirafiori che cancella le elezioni delle rappresentanze aziendali è, da allora, il più grave atto antidemocratico verso il mondo del lavoro”. Altri parlarono di un contratto “incostituzionale” e, in ogni caso, di un grave vulnus ai diritti dei lavoratori. Nel 2016 il leader del medesimo sindacato, Maurizio Landini, ha dovuto ammettere che “nessuno nega che la Fiat, prima dell’arrivo di Sergio Marchionne, fosse a rischio di fallimento e oggi no. E nessuno vuole negare le qualità finanziarie del manager. Di tutto questo noi siamo contenti”.
A questo uomo, che si vanta del padre carabiniere e dei valori di onestà e spirito di servizio che “l’uniforme a bande rosse” esprime; che preferisce uno stile meno appariscente, perché l’attenzione sia concentrata sulle opere da compiere; che si preoccupa che gli ambienti di lavoro siano decorosi e consoni alla dignità dei prestatori; a quest’uomo, dunque, è da augurare di affrontare questo momento della vita con il medesimo coraggio con cui si è dedicato al suo lavoro.
venerdì 20 luglio 2018
Treccani, Libro dell'Anno del Diritto 2018
E' stato pubblicato il Libro dell'Anno del Diritto 2018 della Treccani (qui una breve presentazione): a pag. 307 ss. il mio contributo sul lavoro agile
giovedì 19 luglio 2018
Slide del convegno di aggiornamenti di diritto del lavoro
Qui le slide del convegno del mese scorso di "aggiornamenti di diritto del lavoro", con relazioni su: controlli e privacy, giurisprudenza sui licenziamenti dopo il Jobs Act, questioni di onere della prova, sindacato comparativamente più rappresentativo
martedì 17 luglio 2018
Reddito di cittadinanza? Dubbi e perplessità
Qui un mio intervento, di taglio divulgativo, sul tema del reddito di cittadinanza, pubblicato sul mensile "Servi della Sofferenza". Seguiranno interventi di carattere tecnico-giuridico
venerdì 6 luglio 2018
Ancora sul "decreto dignità"
Intervengo ancora sul "decreto dignità" con l'editoriale odierno de La Nuova Bussola Quotidiana
Non si crea lavoro a colpi di decreti. Serve un rilancio
Decreto Dignità: si ha l’impressione che, ancora una volta, si utilizzi in maniera distorta il diritto del lavoro. Sovraccaricare questa materia di troppe aspettative porta nella direzione sbagliata e contribuisce a perdere di vista le questioni più serie. Cioè: come è possibile favorire l’occupazione? Per la quale occorre un rilancio economico.
Il decreto legge varato dal Consiglio dei Ministri il 2 luglio 2018, principalmente ispirato dal Ministro del lavoro Luigi Di Maio, reca un titolo singolarmente impegnativo: “Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese”. Dalle dichiarazioni rilasciate alla stampa, l’intento è di “licenziare il Jobs Act”, combattere il precariato colpendo l’abuso dei contratti flessibili, evitare l’utilizzo fraudolento di sussidi economici per poi delocalizzare all’estero l’attività. Vediamo se le norme del decreto appaiono idonee a raggiungere gli obiettivi.
Si può anzitutto escludere che il provvedimento costituisca un sovvertimento del Jobs Act. Questo, infatti, consiste di otto decreti legislativi, emanati in seguito alla l. n. 183/2014. Il testo governativo appena approvato, invece, incide su singoli aspetti di soli due decreti: il n. 23 del 2015 sui licenziamenti e il n. 81 del 2015 sui contratti di lavoro.
Quanto ai licenziamenti ingiustificati, l’indennizzo minimo per i lavoratori è ampliato da 4 a 6 mensilità retributive; quello massimo, è portato da 24 a 36. Mentre si tratta di variazioni sostanzialmente irrilevanti per le imprese di grandi dimensioni, sono importi impegnativi per quelle che impiegano 16 dipendenti o poco più. Occorre poi considerare che la legittimità del licenziamento dipende da valutazioni del giudice necessariamente discrezionali, perché fondate su norme generali (la sussistenza della “giusta causa” o del “giustificato motivo”). Non sembra si tenga conto, dunque, della possibile disparità di condizioni economiche tra imprese e imprese, specie se si considera che nel nostro tessuto produttivo sono prevalenti quelle medio-piccole.
Quanto ai contratti di lavoro, si restringe la possibilità di utilizzo del contratto a tempo determinato, la cui durata massima legale non potrà superare i 24 mesi (tra il medesimo datore e il medesimo lavoratore). Superati i 12 mesi, il contratto dovrà comunque essere giustificato da ragioni produttive di natura temporanea.
Sorgono spontanee due domande. La prima: è consapevole il governo del fatto che questo farà felici soprattutto gli avvocati? Infatti, ogni qual volta il lavoratore non verrà stabilizzato dal suo datore di lavoro, probabilmente introdurrà un contenzioso giudiziale per accertare: a) se la ragione scritta nel contratto sia stata formalmente ben redatta; b) se sussistesse in concreto; c) se fosse di natura temporanea. Questioni note a chi conosce la giurisprudenza formatasi sulle causali del contratto a termine, prima che fossero abolite nel 2014.
La seconda domanda: davvero il governo ritiene che, dando una stretta ai contratti a termine, si potrà favorire il lavoro stabile? Non è più probabile che accada: a) che il datore non assuma; b) utilizzi modalità alternative e meno garantiste (co.co.co., partite iva); c) scelga la strada del lavoro sommerso? Occorre domandarsi se, nelle presenti condizioni del mercato, una normativa più rigida non determini una perdita di occasioni di lavoro.
Quanto poi alla somministrazione di lavoro a termine, la cui disciplina viene in sostanza equiparata a quella del contratto di lavoro a tempo determinato, si dimentica che le agenzie di somministrazione svolgono anche una funzione di intermediazione tra la domanda e l’offerta di lavoro. L’apposizione di vincoli eccessivi, in questa fattispecie, rischia di depotenziarne la capacità occupazionale.
Quanto all’abuso degli incentivi, si condivide il giudizio espresso su questo sito da Giuseppe Sabella: fermo restando che l’intento del governo è apprezzabile, “se dimentichiamo di rendere più attrattivo il terreno su cui un investitore scommette, non facciamo il bene del lavoro. Spesso le aziende che delocalizzano lo fanno per tasse troppo alte, per troppa burocrazia, per mancanza di infrastrutture e per un costo eccessivo dell’energia”.
Si ha l’impressione che, ancora una volta, si utilizzi in maniera distorta il diritto del lavoro. Sovraccaricare questa materia di troppe aspettative – nel corso degli ultimi decenni lo si è fatto spesso – porta nella direzione sbagliata e contribuisce a perdere di vista le questioni più serie. La principale delle quali, in materia, forse è questa: come è possibile favorire l’occupazione? La risposta più ragionevole è che, a tal fine, occorre un rilancio economico che determini la creazione di posti di lavoro. Ma allora le risposte non possono consistere nel ritocco di qualche comma o nel dare nomi altisonanti ai decreti. Le risposte sono altre: incremento demografico, attrattività del territorio, riforma fiscale, abbattimento dei tempi della giustizia, efficienza delle infrastrutture e della pubblica amministrazione.
Tutto ciò che, insomma, dovrebbe formare oggetto di un vero piano industriale. E’ questo lo sforzo richiesto a un governo che ambisca a parlare di dignità del lavoro.
Non si crea lavoro a colpi di decreti. Serve un rilancio
Decreto Dignità: si ha l’impressione che, ancora una volta, si utilizzi in maniera distorta il diritto del lavoro. Sovraccaricare questa materia di troppe aspettative porta nella direzione sbagliata e contribuisce a perdere di vista le questioni più serie. Cioè: come è possibile favorire l’occupazione? Per la quale occorre un rilancio economico.
Il decreto legge varato dal Consiglio dei Ministri il 2 luglio 2018, principalmente ispirato dal Ministro del lavoro Luigi Di Maio, reca un titolo singolarmente impegnativo: “Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese”. Dalle dichiarazioni rilasciate alla stampa, l’intento è di “licenziare il Jobs Act”, combattere il precariato colpendo l’abuso dei contratti flessibili, evitare l’utilizzo fraudolento di sussidi economici per poi delocalizzare all’estero l’attività. Vediamo se le norme del decreto appaiono idonee a raggiungere gli obiettivi.
Si può anzitutto escludere che il provvedimento costituisca un sovvertimento del Jobs Act. Questo, infatti, consiste di otto decreti legislativi, emanati in seguito alla l. n. 183/2014. Il testo governativo appena approvato, invece, incide su singoli aspetti di soli due decreti: il n. 23 del 2015 sui licenziamenti e il n. 81 del 2015 sui contratti di lavoro.
Quanto ai licenziamenti ingiustificati, l’indennizzo minimo per i lavoratori è ampliato da 4 a 6 mensilità retributive; quello massimo, è portato da 24 a 36. Mentre si tratta di variazioni sostanzialmente irrilevanti per le imprese di grandi dimensioni, sono importi impegnativi per quelle che impiegano 16 dipendenti o poco più. Occorre poi considerare che la legittimità del licenziamento dipende da valutazioni del giudice necessariamente discrezionali, perché fondate su norme generali (la sussistenza della “giusta causa” o del “giustificato motivo”). Non sembra si tenga conto, dunque, della possibile disparità di condizioni economiche tra imprese e imprese, specie se si considera che nel nostro tessuto produttivo sono prevalenti quelle medio-piccole.
Quanto ai contratti di lavoro, si restringe la possibilità di utilizzo del contratto a tempo determinato, la cui durata massima legale non potrà superare i 24 mesi (tra il medesimo datore e il medesimo lavoratore). Superati i 12 mesi, il contratto dovrà comunque essere giustificato da ragioni produttive di natura temporanea.
Sorgono spontanee due domande. La prima: è consapevole il governo del fatto che questo farà felici soprattutto gli avvocati? Infatti, ogni qual volta il lavoratore non verrà stabilizzato dal suo datore di lavoro, probabilmente introdurrà un contenzioso giudiziale per accertare: a) se la ragione scritta nel contratto sia stata formalmente ben redatta; b) se sussistesse in concreto; c) se fosse di natura temporanea. Questioni note a chi conosce la giurisprudenza formatasi sulle causali del contratto a termine, prima che fossero abolite nel 2014.
La seconda domanda: davvero il governo ritiene che, dando una stretta ai contratti a termine, si potrà favorire il lavoro stabile? Non è più probabile che accada: a) che il datore non assuma; b) utilizzi modalità alternative e meno garantiste (co.co.co., partite iva); c) scelga la strada del lavoro sommerso? Occorre domandarsi se, nelle presenti condizioni del mercato, una normativa più rigida non determini una perdita di occasioni di lavoro.
Quanto poi alla somministrazione di lavoro a termine, la cui disciplina viene in sostanza equiparata a quella del contratto di lavoro a tempo determinato, si dimentica che le agenzie di somministrazione svolgono anche una funzione di intermediazione tra la domanda e l’offerta di lavoro. L’apposizione di vincoli eccessivi, in questa fattispecie, rischia di depotenziarne la capacità occupazionale.
Quanto all’abuso degli incentivi, si condivide il giudizio espresso su questo sito da Giuseppe Sabella: fermo restando che l’intento del governo è apprezzabile, “se dimentichiamo di rendere più attrattivo il terreno su cui un investitore scommette, non facciamo il bene del lavoro. Spesso le aziende che delocalizzano lo fanno per tasse troppo alte, per troppa burocrazia, per mancanza di infrastrutture e per un costo eccessivo dell’energia”.
Si ha l’impressione che, ancora una volta, si utilizzi in maniera distorta il diritto del lavoro. Sovraccaricare questa materia di troppe aspettative – nel corso degli ultimi decenni lo si è fatto spesso – porta nella direzione sbagliata e contribuisce a perdere di vista le questioni più serie. La principale delle quali, in materia, forse è questa: come è possibile favorire l’occupazione? La risposta più ragionevole è che, a tal fine, occorre un rilancio economico che determini la creazione di posti di lavoro. Ma allora le risposte non possono consistere nel ritocco di qualche comma o nel dare nomi altisonanti ai decreti. Le risposte sono altre: incremento demografico, attrattività del territorio, riforma fiscale, abbattimento dei tempi della giustizia, efficienza delle infrastrutture e della pubblica amministrazione.
Tutto ciò che, insomma, dovrebbe formare oggetto di un vero piano industriale. E’ questo lo sforzo richiesto a un governo che ambisca a parlare di dignità del lavoro.
giovedì 5 luglio 2018
E' davvero un "decreto dignità"? Mia intervista a La Provincia Pavese
Da La Provincia Pavese, 5 luglio 2018, pag. 3
«Precari, la rivoluzione è solo annunciata»
Il giuslavorista Marco Ferraresi: «Cambiare le norme non basta,
soltanto lo sviluppo garantisce il lavoro di qualità»
Stefano Romano, Pavia
La rivoluzione del
lavoro non si fa ritoccando le norme sul precariato, ma rilanciando lo
sviluppo. E il “Decreto dignità”, come lo hanno definito il presidente del
consiglio Giuseppe Conte e il ministro del lavoro Luigi di Maio, non è né una rivoluzione,
né il provvedimento che affonda definitivamente il Jobs Act dell’era Renzi.
Marco Ferraresi, ricercatore della facoltà di giurisprudenza dell’università di
Pavia, specializzato in diritto del lavoro, è «perplesso» sugli effetti che il
Decreto dignità potrà avere sul miglioramento delle condizioni dei lavoratori
precari, ma è certo che non si tratta dell’addio definitivo al Jobs Act.
Professore, perché sostiene che il Decreto dignità non supera
definitivamente il Jobs Act?
«Perché il Jobs Act è
articolato in otto punti e il decreto dignità ne tocca soltanto due e in
maniera parziale. Cambia alcune norme relative ai contratti a tutela crescente,
aumentando gli indennizzi per i licenziamenti senza giusta causa portando
l’indennità dovuta ai lavoratori da 24 a 36 mesi di stipendio; e modifica il
codice dei contratti limitando da 36 a 24 mesi la possibilità di assumere a
termine riducendo a 4 da cinque le proroghe possibili. Viene reintrodotta
inoltre la cosiddetta causale, ovvero l’obbligo di giustificare con una
esigenza di temporaneità, ogni assunzione a termine successiva alla prima».
Sembrano comunque interventi migliorativi per chi ha un lavoro
precario.
«Ma non è detto che
abbiano gli effetti sperati. Irrigidire i parametri per le assunzioni a termine
rischia di spingere le aziende a centellinare le assunzioni in presenza di
necessità temporanee di aumento della manodopera. Ma soprattutto la
reintroduzione delle causali rischia di avviare un boom delle cause di lavoro. Semplificando:
se un lavoratore a termine intravvede la possibilità di far causa per
l’assunzione a tempo indeterminato, e vincerla, all’impresa che gli rinnova un
contratto a termine con una causale traballante, quasi certamente la farà. E anche
questa possibilità aumenta il rischio che le imprese tornino ad essere
eccessivamente prudenti nell’assumere dipendenti a termine in caso di esigenze
produttive particolari e limitate nel tempo».
Il decreto dignità introduce limiti anche nel lavoro somministrato parificandolo
di fatto alle assunzioni a termine.
«E anche in questo caso
a mio avviso non è una buona scelta. Il lavoro somministrato, ovvero il ricorso
da parte delle aziende a lavoratori “in affitto” da agenzie specializzate costa
di più rispetto alle assunzioni a termine proprio perché l’azienda deve pagare
all’agenzia l’intermediazione. È un meccanismo utile perché sopperisce ai limiti
che, in Italia, i centri per l’impiego hanno nel far incontrare domanda e
offerta di lavoro. Porre vincoli a questo tipo di servizio è di fatto un passo
indietro rispetto a quanto fatto finora».
Qual è, allora, la ricetta per far crescere l’occupazione e migliorare
la qualità del lavoro?
«Lo sviluppo. Agire sulle regole del lavoro deve
essere il secondo passaggio: prima deve venire il lavoro su un piano
industriale che faccia crescere l’economia. E serve un lavoro serio sul fisco
per abbassare le tasse alle imprese, sulla giustizia per tagliare i tempi e sulle
infrastrutture per abbattere i costi».
giovedì 28 giugno 2018
Codice di comportamento: slide
Qui le slide utilizzate in un corso per dipendenti di ATS Pavia sul codice di comportamento
L'adempimento spontaneo degli obblighi di diritto del lavoro
Qui l'indice del numero 2/2018 della rivista "Variazioni su temi di diritto del lavoro". Il fascicolo è dedicato al tema dell'impresa illecita. A pp. 443 ss. un mio contributo sul tema "L’adempimento datoriale degli obblighi giuslavoristici: strumenti volontari e incentivanti tra diritto e responsabilità sociale d’impresa"
sabato 16 giugno 2018
Diritto delle relazioni industriali, n. 2/2018: saggio sul g.m.o.
Su Diritto delle relazioni industriali, n. 2/2018, pp. 531 ss., una mia riflessione aggiornata sul giustificato motivo oggettivo di licenziamento. Qui l'abstract
lunedì 4 giugno 2018
Corso ATS Pavia sul codice di comportamento della p.a.
Qui il programma di una lezione che terrò al personale di ATS Pavia sul tema del codice di comportamento dei dipendenti della pubblica amministrazione
giovedì 31 maggio 2018
Lavoro a tempo parziale: slide
Qui slide utilizzate oggi in una lezione del Corso di perfezionamento in diritto del lavoro dell'Università di Pavia, sul tema del contratto di lavoro a tempo parziale
martedì 29 maggio 2018
Rappresentanza sindacale e contrattazione collettiva nel pubblico impiego: slide
giovedì 24 maggio 2018
Certificazione dei contratti di lavoro: slide
Qui le slide per una lezione odierna in tema di certificazione dei contratti di lavoro, nell'ambito del Corso di perfezionamento in diritto del lavoro dell'Università di Pavia
Elementi essenziali sui licenziamenti: slide
Qui slide utilizzate per una lezione sui licenziamenti in generale
lunedì 14 maggio 2018
Cassazione e mancato ripescaggio: articolo
Per la Cassazione, in base all'art. 18 s.l. post riforma Fornero anche il mancato ripescaggio può dar luogo alla reintegrazione del lavoratore. Sono perplesso. Ho svolto qualche considerazione su Il Sussidiario a questo link
giovedì 10 maggio 2018
Convegno: Aggiornamenti di diritto del lavoro
Qui la locandina di un bell'evento di diritto del lavoro, organizzato dall'Unione Giuristi Cattolici di Pavia "Beato Contardo Ferrini". Si terrà a Vigevano venerdì 15 giugno a partire dalle 14.30. Temi trattati: controlli a distanza e privacy, licenziamenti, onere della prova, maggiore rappresentatività sindacale
mercoledì 9 maggio 2018
Contratto collettivo nel settore bancario: slide
Qui le slide in tema di contratto collettivo nel settore bancario, utilizzate in data odierna in una lezione al master ABI in relazioni industriali
lunedì 7 maggio 2018
Lavoro a tempo parziale: slide
Qui le slide di una lezione odierna sul contratto di lavoro a tempo parziale
sabato 28 aprile 2018
Sciopero e clausole di tregua sindacale: slide
Qui le slide utilizzate alla Scuola Sindacale Permanente Cisl Lombardia in tema di diritto di sciopero e clausole di tregua sindacale
lunedì 23 aprile 2018
Giustificato motivo oggettivo di licenziamento: slide
Qui le slide utilizzate il 20 aprile in una relazione sul giustificato motivo oggettivo di licenziamento, nell'ambito dei Seminari di diritto del lavoro dell'Università di Macerata
lunedì 16 aprile 2018
venerdì 13 aprile 2018
giovedì 5 aprile 2018
Contratto collettivo e settore bancario: slide
Qui le slide per una lezione odierna sul contratto collettivo, nell'ambito del Master in Relazioni Industriali di ABI
sabato 31 marzo 2018
Commento ad App. Firenze sul licenziamento per motivo illecito
Sulla rivista telematica www.ilgiuslavorista.it di Giuffrè del 29 marzo 2018, un mio commento a una interessante pronuncia della Corte di Appello di Firenze, che ha considerato irrogato per motivo illecito ex art. 1345 c.c. un licenziamento per g.m.o., palesemente insussistente, comunicato al rientro del prestatore dopo un lungo periodo di malattia
venerdì 30 marzo 2018
G.m.o. di licenziamento: slide
Qui le slide utilizzate ieri in una lezione sul g.m.o. di licenziamento, nell'ambito del Corso di perfezionamento in diritto del lavoro dell'Università di Pavia
mercoledì 28 marzo 2018
Il lavoro nella sanità pubblica: slide
Qui le slide di una lezione odierna sul lavoro nella sanità pubblica
martedì 27 marzo 2018
Contrattazione collettiva dopo la riforma Madia: slide
giovedì 22 marzo 2018
Soggetti sindacali; condotta antisindacale. Slide
sabato 17 marzo 2018
Collocamento mirato dei lavoratori disabili: slide
Qui le slide in tema di collocamento dei lavoratori con disabilità, relative a lezioni tenute nell'ambito del Corso di perfezionamento in disability management nell'Università del Piemonte Orientale
mercoledì 7 marzo 2018
Cisl: inizia la Scuola Sindacale Permanente
Domani 8 marzo 2018 iniziano le lezioni della Scuola Sindacale Permanente di CISL Lombardia e IAL Lombardia: qui una presentazione. Terrò incontri di diritto sindacale e del lavoro
venerdì 2 marzo 2018
Lavoro autonomo: slide
venerdì 26 gennaio 2018
Saggio sulle astensioni collettive degli avvocati
Su Argomenti di diritto del lavoro, 2017, n. 6, pp. 1441 ss., ho appena pubblicato un saggio sul tema Le astensioni collettive degli avvocati: fattispecie, responsabilità e sanzioni. Qui si può leggere l'indice del fascicolo
mercoledì 17 gennaio 2018
Licenziamenti e Jobs Act: slide
Qui le slide utilizzate oggi alla Law School Pavia-Milano Bocconi sui licenziamenti dopo il Jobs Act
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