La crisi del diritto di sciopero
Il Ticino, 31 ottobre 2025
Le ripetute proclamazioni di
scioperi settoriali (specialmente nei trasporti) e persino di quelli generali
dicono, paradossalmente, della crisi di questa storica forma di lotta
sindacale. Da strumento di riscatto delle categorie più deboli di lavoratori,
si è mutata in mezzo di polemica spesso puramente politica o di concorrenza tra
gli stessi sindacati.
Per questo, sembra non costituire
più una risorsa che consenta di ottenere oggettivi benefici per impiegati e
operai; anzi, i disagi, che sovente gli scioperi provocano, vengono stigmatizzati
da coloro che vedono così ostacolato il proprio diritto al lavoro. Non si comprende,
poi, quale vantaggio pensino di poter conseguire le organizzazioni sindacali
proclamanti, visto che simile operato si ritorce contro la loro stessa
immagine.
Quel che è certo è che in alcuni
settori – soprattutto il trasporto pubblico locale – l’unico soggetto che ne
trae utilità è il datore di lavoro. Infatti, l’esercente del servizio pubblico
risparmia su retribuzioni, carburante, energia, usura dei mezzi; non perde i
ricavi degli abbonamenti, ma unicamente quelli dei biglietti giornalieri.
Se poi si consulta il “Cruscotto
scioperi” sul sito internet del Dipartimento della Funzione Pubblica, si può
osservare come, in genere, il tasso di adesione agli scioperi dei dipendenti
pubblici (gli unici per i quali si dispone di dati certi) sia mediamente
esiguo.
Di recente, opportunamente Pietro Ichino ha ricordato quanto osservavano in Assemblea costituente due storici esponenti della sinistra politica e del sindacato, quali Vittorio Foa e Giuseppe Di Vittorio. Quest’ultimo, ad esempio, faceva appello alla “coscienza civica degli stessi lavoratori dei servizi pubblici, i quali sono consapevoli delle conseguenze particolarmente gravi del loro sciopero”, anche in vista dell’“interesse che hanno i lavoratori di altre branche di lavoro di evitarne gli abusi (dato che sarebbero fra i primi danneggiati)”.
Marco Ferraresi