giovedì 5 luglio 2018

E' davvero un "decreto dignità"? Mia intervista a La Provincia Pavese

Da La Provincia Pavese, 5 luglio 2018, pag. 3

«Precari, la rivoluzione è solo annunciata»
Il giuslavorista Marco Ferraresi: «Cambiare le norme non basta, soltanto lo sviluppo garantisce il lavoro di qualità»

Stefano Romano, Pavia

La rivoluzione del lavoro non si fa ritoccando le norme sul precariato, ma rilanciando lo sviluppo. E il “Decreto dignità”, come lo hanno definito il presidente del consiglio Giuseppe Conte e il ministro del lavoro Luigi di Maio, non è né una rivoluzione, né il provvedimento che affonda definitivamente il Jobs Act dell’era Renzi. Marco Ferraresi, ricercatore della facoltà di giurisprudenza dell’università di Pavia, specializzato in diritto del lavoro, è «perplesso» sugli effetti che il Decreto dignità potrà avere sul miglioramento delle condizioni dei lavoratori precari, ma è certo che non si tratta dell’addio definitivo al Jobs Act.

Professore, perché sostiene che il Decreto dignità non supera definitivamente il Jobs Act?
«Perché il Jobs Act è articolato in otto punti e il decreto dignità ne tocca soltanto due e in maniera parziale. Cambia alcune norme relative ai contratti a tutela crescente, aumentando gli indennizzi per i licenziamenti senza giusta causa portando l’indennità dovuta ai lavoratori da 24 a 36 mesi di stipendio; e modifica il codice dei contratti limitando da 36 a 24 mesi la possibilità di assumere a termine riducendo a 4 da cinque le proroghe possibili. Viene reintrodotta inoltre la cosiddetta causale, ovvero l’obbligo di giustificare con una esigenza di temporaneità, ogni assunzione a termine successiva alla prima».

Sembrano comunque interventi migliorativi per chi ha un lavoro precario.
«Ma non è detto che abbiano gli effetti sperati. Irrigidire i parametri per le assunzioni a termine rischia di spingere le aziende a centellinare le assunzioni in presenza di necessità temporanee di aumento della manodopera. Ma soprattutto la reintroduzione delle causali rischia di avviare un boom delle cause di lavoro. Semplificando: se un lavoratore a termine intravvede la possibilità di far causa per l’assunzione a tempo indeterminato, e vincerla, all’impresa che gli rinnova un contratto a termine con una causale traballante, quasi certamente la farà. E anche questa possibilità aumenta il rischio che le imprese tornino ad essere eccessivamente prudenti nell’assumere dipendenti a termine in caso di esigenze produttive particolari e limitate nel tempo».

Il decreto dignità introduce limiti anche nel lavoro somministrato parificandolo di fatto alle assunzioni a termine.
«E anche in questo caso a mio avviso non è una buona scelta. Il lavoro somministrato, ovvero il ricorso da parte delle aziende a lavoratori “in affitto” da agenzie specializzate costa di più rispetto alle assunzioni a termine proprio perché l’azienda deve pagare all’agenzia l’intermediazione. È un meccanismo utile perché sopperisce ai limiti che, in Italia, i centri per l’impiego hanno nel far incontrare domanda e offerta di lavoro. Porre vincoli a questo tipo di servizio è di fatto un passo indietro rispetto a quanto fatto finora».

Qual è, allora, la ricetta per far crescere l’occupazione e migliorare la qualità del lavoro?
«Lo sviluppo. Agire sulle regole del lavoro deve essere il secondo passaggio: prima deve venire il lavoro su un piano industriale che faccia crescere l’economia. E serve un lavoro serio sul fisco per abbassare le tasse alle imprese, sulla giustizia per tagliare i tempi e sulle infrastrutture per abbattere i costi».